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STORIE D'ATLETI

Claudio Mirabile: tutta l'emozione del secondo posto alla 29^ Venice Marathon

Domenica 26 Ottobre a Venezia si è corsa la famosa Maratona tra canali e ponti alla quale ha partecipato l’atleta dell’Handbike di Sommariva del Bosco Claudio Mirabile, classe 1975 ci tiene a parlare di Maratone, alle quale non smette di partecipare pur essendo un ciclista e allora appena tornato da Venezia dove ha disputato una delle più famose gare podistiche d’Italia, ci spiega: “Perché ogni gara è, in ultima analisi, una sfida, contro gli avversari, contro se stessi, contro le avversità della vita”.

Della corsa, la maratona costituisce la parte più nobile e sofferta. Si dice che la maratona offra alle masse una possibilità d’identificazione con l'angoscia e la bellezza dello sport poiché i concorrenti riuniscono mente e corpo in una prova definitiva delle loro risorse. “Chi gareggia lo fa soprattutto con la forza delle gambe, io lo faccio con la forza delle braccia”.

E’ ciò che ci ha risposto Claudio Mirabile, ciclista dell’Handbike, paraplegico da alcuni anni a causa di un incidente in moto, quando gli abbiamo chiesto del perché si corra una Maratona. Alla 29esima Venice Marathon hanno partecipato almeno 6000 runners partiti da Stra, numero che raddoppia se consideriamo i partecipanti alla 10 km ed alla Family Run.

Vincitori di questa edizione sono gli etiopi Behailu Mamo Ketema e Tilahun Konjit Biruk 2014, gara che si è conclusa su crono davvero alti a causa del forte vento contrario protagonista nella prima parte e dei consueti e massacranti 14 ponti finali. Dietro Katema, un grandissimo Giovanni Gualdi, che aveva lasciato le Fiamme Gialle, è autore di una bella e insperata rimonta che lo porterà a chiudere al secondo posto davanti al keniano Korir.

Fiero ed emozionato per il suo secondo posto è anche Mirabile che commenta la gara: “La gara è stata più dura del solito per via del vento contro ed ho faticato moltissimo. Poi negli ultimi 500 metri sono rimasto fermo a una transenna per una svolta troppo netta perdendo il mio rivale, Cristiano Picco, che e andato a vincere. Sono contento lo stesso, alla fine al di là del risultato sportivo il bello è stato vivere un'esperienza di tre giorni in una città così bella che tutto il mondo ci invidia. Grazie a tutti i miei sostenitori ed amici ai quali do appuntamento a Firenze.”

Ufficio Stampa P.a.s.s.o. Cuneo – Dorotea Maria Guida

Gallery Maratona di Venezia

Ecco altri scatti

Boffa: Sudore a fatica a Venezia

L’atleta Inail del saluzzese racconta gli sforzi e l’emozione della partecipazione alla 29^ Venice Marathon Lui è un tipo che s’impegna al massimo.
Ce la mette tutta vuoi che si tratti di gare del paraciclismo dell’Handbike, oppure che si tratti di sci alpino Paralimpico. Infatti, siamo in attesa di vederlo sui pendii delle montagne innevate con il suo sitting, non appena la stagione lo consentirà.
Lo scorso 26 Ottobre, Marco Boffa, classe 1970, ha corso in una delle ultime gare stagionali del panorama podistico e ciclistico della stagione: la 29^ Maratona di Venezia. La gara tra ponti e calli è stata l’evento podistico per eccellenza con i 6000 runners partiti da Stra, numero che raddoppia se consideriamo i partecipanti alla 10 km ed alla Family Run.

Vincitori di questa edizione sono gli etiopi Behailu Mamo Ketema e Tilahun Konjit Biruk 2014, gara che è finita su crono davvero alti a causa del forte vento contrario protagonista nella prima parte e dei consueti e massacranti 14 ponti finali.

La Maratona era aperta anche ai coraggiosi ciclisti dell’handbike che desideravano cimentarsi anche in questa impresa. Insieme con altri pochi colleghi ciclisti, Boffa, atleta INAIL a causa di un infortunio sul lavoro che l’ha reso paraplegico, si è cimentato anche in questa impresa, arrivando 4° con il tempo di 1 h e 41 minuti e a fine gara ci aveva raccontato:
La gara è stata dura e faticosa, i ponti percorribili avevano una pendenza non da poco se fatta con una handbike, ma ho stretto i denti e sono andato avanti con sudore e fatica, e sono riuscito a concludere la gara fiero ed orgoglioso della mia prestazione.”
Bella impresa che ha realizzato Marco Boffa che adesso è in attesa della prima neve per sfidare anche le montagne. Lo aspettiamo

Ufficio Stampa P.a.s.s.o. Cuneo Dorotea Maria Guida

Marco Boffa: grazie all'INAIL se faccio sport

Se posso fare sport lo devo all’INAIL e all’ANMIL

Lo dice Marco Boffa Oggi facciamo una chiacchierata informale con Marco Boffa, un “ragazzino” classe 1970 di Verzuolo (CN), un grandissimo atleta della pluristellata Associazione P.a.s.s.o di Cuneo.

L’atleta Inail Marco dice: “ho avuto la fortuna di incontrare sul mio percorso di vita l'INAIL e l'ANMIL".

Quest'ultima, (Associazione Nazionale fra lavoratori mutilati ed invalidi del lavoro) è una Associazione fondata a Milano nel 1933 e diventata Onlus nel 2003. Un' organizzazione non lucrativa di utilità sociale.

L'Inail, (Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) che fra l'altro, quest'anno è stato premiato con l'“Italian Paralympic Award” durante la prima edizione del “Believe to be alive”con la 3 giorni organizzata dal Cip (Comitato Italiano Paralimpico) in collaborazione col Vaticano.

Questo premio è stato ampiamente meritato dall'Inail che ha utilizzato lo strumento della pratica sportiva come “canale”di riabilitazione e reinserimento.

Con lo “sport terapia” molti atleti fra i quali anch'io, siamo potuti entrare nel mondo sportivo con grande decisione e con eccellenti risultati. Mi sono potuto confrontare ottenendo successi in varie discipline sportive, che vanno dallo sci alpino (campione italiano C.S.I.), alla bike (ho partecipato anche alla Mezza maratona di Genova, gara aperta ai podisti ma anche alla disciplina ciclistica Paralimpica dell’Handbike).

Marco è un fiume in piena che sa farsi ascoltare. “Il mondo è perfetto quando sul monosci scendo dalle piste del Tonale o quando a Prato Nevoso “mordo” la neve leggermente ghiacciata nella categoria “sitting”, compiendo evoluzioni e segnando linee estreme. Successi e sacrificio che comportano ovviamente allenamenti estenuanti sia sulle piste, che sulla strada che in palestra, ma, che faccio con grande gioia”.

Lo sport aiuta a mantenere inalterato il proprio equilibrio interiore e la propria autostima, ed io mi sento forte come un “ragazzino”. Che posso dire ancora se non grazie INAIL e grazie ANMIL, Marco Boffa c'è!”

Ufficio Stampa P.a.s.s.o

Dorotea Maria Guida

"Appendo la bici al chiodo"

La festa per la finale degli Europei EHC del circuito European Handcycling del 20 settembre a Fossano (CN) 2014, non è stato solo l’evento più importante del panorama del paraciclismo italiano.

E’ stata anche l’occasione per premiare anche un grande atleta dell’Handbike Italiano che dopo 10 anni di attività agonistica lascia le piste ed i circuiti e..

“Appende la bici al chiodo” Il campione del quale stiamo parlando è Alessandro Villa che con il fratello Federico ha creato l’Associazione di Handbike “Piccoli Diavoli 3Ruote” (Onlus Ass. Sportiva Diversamente Abili Monza e Brianza)

Alessandro, classe 1981, non si è mai arreso all’Atassia, (un disordine consistente nella mancata coordinazione muscolare, che rende difficoltoso eseguire i movimenti volontari) ha cercato di combatterla in ogni modo possibile, facendosi scudo di un’invincibile strumento: Lo sport! Il ciclismo praticato con la sua Handbike.

Tutti coloro che hanno partecipato alla cena di gala della Finale dell’EHC a Fossano (compresa la scrivente) sono stati travolti da un turbinìo di emozione e ammirazione verso questo giovane ciclista indomito. Anche il Presidente dell’ European Handcycling Circuit, Roberto Rancilio, nel premiare Alex Villa non è riuscito a trattenere la commozione.

Adesso c’è rimasto il chiodo dove appendere la fedelissima Handbike e una strada lunghissima ancora da percorrere.

Ecco il testo dal sito: http://www.piccolidiavoli3ruote.it/archives/7545

…il proverbio recita “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”, in questo caso, chi va col pazzo impara a fare pazzie: non potevo mancare all’ultima (tua) tappa a Fossano per il tuo addio al EHC.

Nel 2010 ho iniziato ad accompagnarti alle tappe europee del circuito di handbike, allora, come oggi, inseguivi la maglia gialla. In questi 4 anni non hai perso una gara, ci hai fatto impazzire per accompagnarti o sei andato da solo, pur di inseguire il primo posto.

Certo, gli infortuni, i tamponamenti, chi vinceva nella tua categoria invece di gareggiare nella categoria adatta, non ti hanno aiutato. Il tuo sogno era vincere il titolo europeo, continuavi a ripetere che poi avresti mollato un po’ le competizioni; questa vittoria non é mai arrivata e mi stupisco della tranquillità con cui tu l’abbia accettato.

Eppure ieri a Fossano eri lì a smadonnare su una salita assurda, sapendo che non avresti vinto, ma non hai mollato. Questa maglia rimarrà un tuo rimpianto, ma nella vita bisogna anche averne. Grazie a un grande uomo Roberto Rancilio, il tuo commiato dall’agonismo più puro é stato una sorpresa ed una festa.

Vedere Roberto trattenere la commozione é la dimostrazione di come oltre ad essere un atleta che non si é fatto mancare nulla, tu sia un uomo che lascia il segno. In 9 anni di agonismo hai scritto la tua storia nel mondo dell’handbike. Ed oggi, sappiamo tutti che ti inventerai qualcosa di nuovo per rimetterti in pista (e temo di scoprire cosa sarà); ma come dici tu, hai appeso al chiodo una bici, ora puoi tirarne fuori un’altra.

Già, le tue avventure sono sempre state con la tua fedele bike accanto, come se fosse la tua arma. Lei é l’unica in grado di sopportare i tuoi sfoghi e di non deluderti.

L’hai ammaccata, smerigliata, tagliata, saldata, alleggerita, bagnata, baciata, odiata ma l’hai sempre amata; a due o tre ruote. Ricordo quando 20 anni fa taroccavi le mountainbike nel mio giardino insieme ad Antonio Sechi, ora lo fai da solo o cerchi nuovi amici che in cambio di una birretta ti aiutino a cambiarne l’assetto. io stessa ho imparato ad amare la tua bike, perché ogni ora é quella giusta per un pit stop. Quante ne hai combinate in sella alle tue ruote, viaggi, giri e storie incredibili.

Tu e lei. Vincente é stata anche la tua scelta di abbandonare una parte del tuo corpo alla malattia per allenare solo il tronco, grazie a questo sport; ora sei un atassico che può ancora fare cose impensabili ai più.

Ormai la malattia avanza ed era inevitabile prendere un distacco dalle scene, tu lo hai fatto con molta dignità. Ieri sera piangevano tutti, atleti, accompagnatori, mogli, mamme. Tutti ti conoscono, ti stimano e ti rispettano. É stata una bellissima serata, difficile da raccontare a parole. ed ora non passerà tanto tempo prima del tuo prossimo giro in bici, perché come Linus é disegnato con la coperta in mano, tu sei stato creato per pedalare.
Forza e pedala, campione Alex Villa

Il sogno di Ivan

Ivan finalmente ce l’ha fatta!
E’ riuscito a salire sul podio, vincendo la Terza Tappa a Somma lombardo della 5^ Edizione del giro d’ Italia Handbike.
Ciò è stato possibile perché finalmente il ciclista Paralimpico di Vezza d’Alba, ha ottenuto di correre nella categoria Mh2 che è più adatta alla sua limitazione fisica.

Ivan è nato il 24 Febbraio del 1983 prematuro con soltanto 6 mesi di gestazione, pesava poco più di 1 kg e rimane in ospedale per 3 mesi. Gli è diagnosticata la Deparesi Spastica e viene detto ai suoi genitori che non avrebbe mai camminato.
Comincia per lui un calvario durato 16 anni, durante i quali si cerca di migliorare la sua limitazione fisica con interventi e fisioterapia eseguiti in un centro a Milano. Ma quando compie appunto 16 anni si stanca di tutto quel calvario e dice basta.

Comincia con gli studi lasciando definitamente la fisioterapia. Ivan si laurea in farmacia specializzazione Tecniche Erboristiche con 110 e lode. Nel 2009 conosce l’handbike e comprende che quello è il suo sport, e non abbandona più la bicicletta che si pedala con le mani.

Quando ha cominciato con la bici, non pesava neanche 40 kg; ora fa palestra e segue un costante allenamento mettendo su massa muscolare che non ha mai avuto. Tutto questo per dire che nel suo caso la bici ha fatto miracoli. Ivan è un ragazzo schivo e introverso, ma in bike tira fuori la forza che c'è in se!

È tesserato con la Polisportiva di Cuneo nel 2013, ma gli è assegnata una categoria che mal si abbina alle sue condizioni fisiche e i risultati tardano ad arrivare, relegando il trentenne albese sempre a metà classifica.

Domenica 15 giugno, finalmente il grande giorno! Ivan è partito accompagnato dai genitori, per disputare una delle tante tappe del Giro d’Italia HB con il quale è impegnato insieme con i suoi compagni di squadra della P.a.s.s.o. Cuneo: Sergio Anfossi, presidente delle Polisportiva, Diego Ferrero, Francesco Fieramosca, Lui Roberto, Valentina Rivoira e Silvana Taravelli.

I ciclisti tesserati con la Polisportiva cuneese hanno dimostrato grande prova di forza, determinazione e coraggio sfidando i quasi 70 atleti pronti allo start.

Ivan Sperone vince nella categoria Mh2, ottenendo così un meritato riconoscimento dopo l’assegnazione di una categoria a lui più congeniale.

Primo posto anche per la fossanese Valentina Rivoira che, oltre alla conquista del podio, difende egregiamente la Maglia Rosa.

Il fossanese Sergio Anfossi si assesta al 6° posto in Mh4, mentre l’atleta di Albenga che veste i colori P.a.s.s.o ottiene il 7° posto in Mh3. In quest’ultima categoria, è emozionante segnalare il gradito ritorno alle gare della freccia gialla di Cervere Diego Ferrero che a causa di problemi fisici è stato lontano dalle gare per ben due anni; nella prova di Somma, Ferrero conquista una 17^, scaramantica, posizione.

Alle spalle dell’atleta di Cervere si classifica 18° il ciclista torinese e atleta dell’ICE hockey Roberto Lui.

A San Valentino non solo promozione sportiva...

Francesco Fieramosca e Federica Airaldi

Per tanti e per fortuna, è ormai una cosa naturale, della quale non solo non ci si stupisce più, ma soprattutto ci riempie di enorme felicità. Stiamo parlando della scelta che molte coppie fanno di voler condividere le gioie e gli ostacoli anche quando uno dei due ha una limitazione fisica.

Nell’ambito dell’Associazione P.a.s.s.o. Cuneo, che promuove l’attività sportiva senza ostacoli, quasi tutti gli atleti/e con limitazione fisica hanno un legame stabile con una compagna/o, sono sposati, convivono o sono fidanzati. Tra tutti portiamo l’esempio di una splendida coppia: Federica Airaldi e Francesco Fieramosca, genitori anche del bellissimo Edoardo e della coppia olandese Patrick En Ilse VandenBrande (che gentilmente hanno concesso la foto del loro matrimonio.)

Proviamo a immaginare come possa essere la relazione, il sentimento e l’amore quando c’è di mezzo un ausilio, una carrozzina. Ci facciamo aiutare dalla poetica della scrittrice Paola Maria Bevilacqua che ha scritto ne: “Profumo di mare e l'amore di un disabile” […]
“La carrozzina scivola veloce sulla passeggiata, sospinta dalla forza di un tenero amore. Due giovani innamorati, lei si china su di lui gli parla con tenerezza. L'isola Gallinara, tartaruga immobile osserva da lontano. L'amore non ha tempo, non ha età, né sesso e nemmeno, disabilità. Occhi negli occhi, l'aperitivo complice avvicina le emozioni e cancella i tabù. Mano nella mano e sguardo carico di complicità, non esiste disabile, esiste solo l'uomo.

L'uomo innamorato della sua compagna, l'uomo perso negli occhi del suo amore. L'amore quello con la a maiuscola restituisce funzioni e riaccende i sensi. L'amore quello con la A maiuscola annulla le diversità, livella ogni limite e fa sentire vivi. Un piccolo bar della Liguria, osservatorio d'amore. Li "ammiro" con curiosa attenzione cercando di non essere scoperta per, non disturbare il loro attimo fantastico. Sono due ragazzi sui trent'anni circa, si tengono per mano e si sussurrano parole dolci all'orecchio. Lei sorride imbarazzata ma partecipe al gioco della seduzione che si sta sviluppando.

Lui sempre più audace la osserva con intensità e con sguardo emozionato la desidera con dolcezza. Io spettatrice, percepisco la carica di sensualità che i due ragazzi si "scambiano". Occhi negli occhi, mano nella mano, due cuori e nient'altro che la loro voglia di stare insieme. La vita spesso ci mette di fronte a difficilissime prove, ma a volte la sola essenza dell'essere umano, cioè l'amore, ci permette di tornare a volare. Non serve sognare, non serve parlare, serve solamente l'amore. L'amore che fa sentire bello il brutto, magro il grasso e alto il basso.

L'amore fa tenerezza, la sensibilità di uno sguardo restituisce a volte la gioia profonda del vivere mentre, la vita, carrozzone indescrivibile e imperscrutabile prosegue il suo cammino. Serraglio d'animali, lacrime d'amore, linfa vitale. Non c'è vergogna, non c'è lacrima, non c'è ingiustizia, non c'è disabilità, dove c'è amore. Bisogna lottare, sperare e avere la fortuna, di trovare la propria anima gemella. Mare, due cuori innamorati e... il loro infinito futuro.

Questa è vita, questo è amore. Disabile o normodotato "vivo" grazie al sentimento che l'amore produce. […]

 Avevamo paura che l’Italia fosse fanalino di coda rispetto a tanti altri Paesi europei e invece no, anche noi ci stiamo scrollando di dosso, pian piano, quel velo d’impalpabile pregiudizio che aleggiava intorno al fatto di scegliere, consapevolmente, un partner con una limitazione fisica. E allora, che trionfi l’amore, quello normale, quello speciale quello che tutti vorremmo vivere. Dorotea Maria Guida

Alcune delle nostre coppie

Esempio per tutti

Dalla Pallavolo locale all'handbike Nazionale

A noi piace chiamarla “trasformazione” che è anche un sinonimo di evoluzione, quella della quale è stata protagonista Valentina Rivoira di Fossano.

Valentina fino a qualche anno fa era un’atleta della squadra sportiva dilettantistica: “Lpm Pallavolo Mondovì”, poi a causa di un brutto cambiamento avvenuto nella sua vita si è dovuta reinventare uno sport da praticare ed adesso, da più di un anno l’abbiamo riscoperta ciclista della specialità Paralimpica d’Handbike.

La carriera della giovanissima fossanese dell’Handbike è stata subito un susseguirsi di successi. Valentina, classe 1987, ha, infatti, iniziato a praticare questo sport grazie allo stimolo del Presidente della Polisportiva senza ostacoli cuneese, Sergio Anfossi che l’ha allenata per tutta nell’estate del 2012.

La Rivoira si è quindi presentata preparata e sicura per disputare la sua gara d’esordio al 2° Gran Premio Handbike Città di Monza il 6 ottobre dell’anno scorso. Quella sua prima gara, nella location del suggestivo Autodromo di Monza è stata, per certi versi, il suo battesimo di fuoco, in quanto ha subito ottenuto il podio classificandosi al Terzo Posto.

La bella e giovane Valentina corre in Wh2, una delle tre categorie dell’Handbike riservata alle cicliste donne, nella Finalissima del Giro d’Italia Handbike di Firenze ha conquistato l’ennesima vittoria, classificandosi al Primo posto appunto nella sua categoria.

Non solo! In occasione della finale del Giro d’Italia Handbike, svoltasi a Firenze domenica 29 settembre, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto insignire con una medaglia speciale la giovane e preparata ciclista della P.a.s.s.o. Cuneo, Rivoira.

La segnalazione per questo importante premio è avvenuta da parte del Comitato Organizzatore del Giro stesso. Questa medaglia è assegnata agli atleti più promettenti della stagione ciclistica Paralimpica e la Rivoira lo è vista l’ascesa delle sue prestazioni sportive nell’ambito dell’Handbike, la bici che si pedala con le mani, riservata agli atleti con limitazione fisica.

Avevamo sentito a caldo la giovane Rivoira che in quell’occasione ci aveva detto entusiasta: “Sono onorata! Nonostante la pioggia e i problemi organizzativi dovuti alla concomitanza con i Mondiali di Ciclismo, è stata una finale emozionante. Ho conquistato il Podio e il secondo posto in classifica Maglia Rosa, realizzato proprio all'ultima tappa! Ancora una volta ho sentito tutto il calore dei nostri impagabili accompagnatori e sostenitori ma anche di tutto il pubblico di Firenze e perché no, del Presidente Napolitano dal quale ho ricevuto la medaglia! E un buon auspicio per la prossima stagione e un incoraggiamento ulteriore per allenarmi con costanza per fare meglio l'anno prossimo! Rivolgo i miei complimenti al mio compagno di squadra Diego Colombari per la sua meritata e sudatissima Maglia Rosa.”

Paraplegia? Comunque una vita normale

Questa storia potrebbe essere comune a tante altre storie di paraplegia che spesso non vengono raccontane per pudore, per privacy o semplicemente per tenere celata, agli sguardi, in questo caso, alle menti indiscrete una immensa ferita del corpo e dell’anima. Si possono condividere o no queste considerazioni, ma noi con Marcello vogliamo approfondire.

Marcello Trentin, classe 1972 è nato a Torino; prima dell’incidente era studente d'Ingegneria al Politecnico di Torino,ancora 5 esami e si sarebbe laureato e invece – ci racconta Marcello – “Mi sono fatto male il giorno di Pasquetta di diciassette anni fa, (era l’otto Aprile ed io avevo 24 anni), per un evento banale - e sorride con ironia - per portare a fare un giro in moto un ragazzo che mi aveva assillato per ore, siamo caduti con una moto da cross in mezzo ad un prato a bassa velocità.
Esito dell’incidente: nemmeno un graffio ma schiena rotta… Che cosa fai dopo la diagnosi? Ti arrabbi con il mondo? Imprechi? Ti chiudi in casa?”

"Dopo l'incidente, ho capito che l'unica cosa che potevo era provare a continuare la mia vita, esattamente la dove l’incidente l’aveva interrotta, anche se in modo diverso. Dopo tre mesi ero tornato nuovo all'università e mi sono laureato a pieni voti in ingegneria Meccanica. E subito dopo la laurea già lavoravo come ingegnere in una azienda che progetta auto, ho poi lavorato al Centro Ricerca Fiat e attualmente in Iveco.”

Mi piaceva lo sport anche prima di… farmi male!” Farsi male, due parole così innocue che invece nascondono un cambiamento abissale della vita, eppure lo si dice spesso in questi casi, forse per voler ridimensionare un’immane “frattura” tra il prima e il dopo. E dopo l'incidente ho provato quasi subito a fare sport non agonistico, prima ho provato il nuoto e poi ho aggiunto al nuoto, da circa 6 anni, l'Handbike, la bicicletta che si pedala con le mani.

Il significato che lo sport ha per me è una sorta di completamento a una vita comunque impegnata anche da altre cose ed ha lo scopo principale di permettermi di mantenermi in forma. Il'agonismo, invece, per me ha un valore molto personale: non cerco la competizione o la vittoria, ma il confronto con i miei limiti, prima ancora che con gli altri. Tutto ciò fa dello sport un nuovo stimolo personale.

Ho potuto fare due distinzioni circa lo sport praticato prima dell’incidente. Prima pensavo fosse un ingrediente da non trascurare nella ricetta di una vita sana e serena. Nella vita di un paraplegico, fare sport è una gentile concessione, un regalo che ti è stato concesso e non va assolutamente sprecato. Diventa ancora più importante, ancor prima che per il fisico per la mente.

Qual è stato lo stimolo più importante che ti ha rimesso in pista, nella pista della vita?

Una persona. La persona più importante che da sempre ho al mio fianco, il mio angelo custode che si chiama Valentina. Era già la mia ragazza prima dell'incidente e ora è mia moglie. E' da venticinque anni che condivide con me la vita sia quando le cose vanno bene, sia quando ci sono da affrontare dei problemi. Sicuramente senza di lei avrei fatto molto meno cose. Soprattutto non avrei trovato la forza per rendere la mia vita da paraplegico, una vita comunque normale.

Dorotea Maria Guida

Correre sempre...anche con una disabilità

Gianfranco Pigozzo in Kart

Correre! Il motto della mia vita!

Lui è un tipo che va forte, ma nel vero senso della parola. In auto, in moto, con i go kart e anche con la sua handbike. Adesso corre con la squadra agonistica dell’Associazione senza ostacoli di Cuneo P.a.s.s.o. e i compagni, più giovani di lui lo prendono in giro chiamandolo nonno, oppure decano, soprattutto quando lui taglia in traguardo prima di molti atleti juniores.

Si chiama Gianfranco Pigozzo ed è nato a Treviso nel 1956, diplomato geometra, vive a Ciriè, nel torinese; a Giaveno invece lavora in un’immobiliare.

Questa passione per… andare sempre al massimo (ovvero correre) quando comincia? Gli chiedo:

“Ho sempre avuto la passione per la competizione, da ragazzo ho corso in moto nel campionato italiano salita ed in pista nel campionato italiano "moto derivate dalla serie" conseguendo diverse vittorie. Ho corso anche in qualche rally automobilistico, con la Fulvia hf, e la Fiat 124 abarth. Poi Gianfranco ha avuto un incidente, un banale incidente motociclistico nel 1989, praticamente un’impennata finita male. “Poi da disabile ho continuato a correre, all’inizio sui Kart, poiché anche se predisposti con i comandi manuali, sono identici per prestazioni e potenza a quelli di serie e mi sono continuato a divertire anche con la limitazione fisica.”

Hai un legame forte con lo sport?

“Dopo l’incidente ho voluto provare numero discipline sportive adatte ad una persona paraplegica, così ho praticato lo sci di fondo, ho giocato in una squadra di hockey su ghiaccio, ma ho sempre rifiutato di correre con le carrozzine, ovvero fare l’atletica con le sedie a rotelle modificate nonostante l’insistenza di numerosi amici che già praticavano atletica e tentassero di coinvolgermi. Come ci spieghi la passione per l’handbike? “L’Handbike è una bicicletta a tutti gli effetti. Ci sono salito su la prima volta nel 2000 per andare in giro con mia moglie e mio papà che è un appassionato ciclista. Poi mi sono reso conto che allenandomi e con un mezzo efficiente potevo star dietro a mio padre quando usciva nel fine settimana con i suoi amici ciclisti, era fantastico! Rendersi conto che nonostante la disabilità e un altro tipo di bicicletta, appunto adattata per “pedalare” con le mani, potevo fare sport come tutti gli altri! Infatti, di quelle passeggiate domenicali con mio padre e con i suoi amici ciclisti conservo un ricordo bellissimo e indelebile!

Credendo in se stesso e continuando ad allenarsi duramente dopo il lavoro, Pigozzo è riuscito ad ottenere traguardi sorprendenti: e’ arrivato al secondo posto nel Campionato Societario a Squadre nel 2012, secondo nella classifica della Maglia Rosa per la sua categoria MH3, nella stagione del Giro d’Italia Handbike appena disputata. Così gli chiedo:

Lo sapevi che vai più forte di atleti che hanno la metà dei tuoi anni?

“Effettivamente me ne sono reso conto nelle ultime stagioni agonistiche di Handbike, il problema è forse che io mi alleno con molta continuità, ma partecipo alle gare con molta discontinuità. Il salto di qualità l’ho avuto tesserandomi con l’Associazione sportiva P.a.s.s.o con la quale ho iniziato a dedicarmi alle gare con maggior regolarità”

Qual è il segreto di questa costanza?

“Ho visto che i risultati arrivano quando ci si applica con serietà, per questo motivo ho dovuto abbandonare tutte le altre attività sportive che mi attiravano molto, perché dovevo convogliare le energie verso un unico sport.” Che cosa rappresenta lo sport per te? Dire che è molto importante è riduttivo. Non è solo un modo per tenere in fisico in forma, ma riesce a tenere anche la mente allenata. Può essere una valvola di sfogo, ma soprattutto è un modo per stare con gli altri, per ritornare a socializzare. A me è servito per formare il carattere per disciplinare la volontà. Lo sport dovrebbe essere inserito in tutti i programmi di riabilitazione dei giovani disabili e non. Ritengo che mai come in questo periodo la forza e il valore che lo sport rappresenta, sia un potenziale strumento di aggregazione e di coesione sociale, come occasione per porre in contatto e dialogo diversità culturali, religiose e ideologiche. Oggi il valore dello sport, Olimpico, Paralimpico e dilettantistico è universalmente affermato e riconosciuto.”

 Grazie Gianfranco.

 Dorotea Maria Guida

Sergio Anfossi - Non smettere di sognare

Sergio Anfossi con la CARBIDE

 E’ diventato ormai un personaggio carismatico Sergio Anfossi, nato a Fossano il 23 agosto del 1961. Ha realizzato tanti importanti progetti circa lo sport per disabili e ancora ne continua a portare avanti. Fondatore e presiede un’associazione che si occupa di sport senza ostacoli, avvicina allo sport tante persone, soprattutto giovani, che come lui sono rimaste vittime di incidenti; fa opera di prevenzione nelle scuole circa la sicurezza stradale, ha portato il tennis in carrozzina, e l’handbike in Piemonte quando ancora nessuno lo aveva fatto.

Noi abbiamo voluto farci raccontare proprio da lui il cammino travagliato ed emozionante della sua vita. Una vita piena di sogni.

“Ero molto piccolo quando i miei genitori decisero di separarsi e cosi io e mamma siamo tornati a vivere nella frazione di Fossano (CN), Cussanio, in casa dei miei nonni materni. La mia non è stata un’infanzia facile, la separazione di una coppia in quegli anni era vista come uno scandalo ed io ne ho sofferto sopratutto per il dolore che alleggiava ogni giorno nel cuore di mia madre. Mi pesava la solitudine e l’isolamento così in quegli anni ho maturato un carattere forte e determinato che, allora, non potevo immaginare nel corso della vita, poi, mi avrebbe aiutato a superare un ostacolo grande come la disabilità. Ho portato a termine i miei studi conseguendo il diploma di Perito Agrotecnico nel 1980 e subito ho iniziato a lavorare nel campo avicolo come dipendente ed è stato subito amore. Dalla voglia di essere imprenditore e avere un’azienda agricola tutta mia ha generato il mio primo sogno: sviluppare un progetto nell’azienda dello zio, un progetto che consisteva in tre capannoni avicoli con una capienza di 60.000 capi.

Progetto decollato nel ’90 col primo capannone che sarebbe stato completato nel settembre ’93 se non fosse accaduto l’incidente a rovinare e interrompere quelle mie prime, modeste, ambizioni”.

 Com’è avvenuto l’incidente che ti ha reso paraplegico?

“L’incidente è accaduto nel 1993, venerdì 23 luglio, ad un mese dal mio 32 esimo compleanno. Ricordo quel tardo pomeriggio afoso come fosse stato ieri; mi sono calato in un silos di 7 metri. Dovevo eseguire un lavoro al suo interno, al termine sono risalito con l’ausilio di una corda, ma appena messo fuori il capo e respirato aria meno pesante, sono svenuto. Le mie mani hanno lasciato la stretta che esercitavano sulla corda così sono caduto giù a peso morto, mi sono inarcato nell’imbuto del silos provocando uno schiacciamento al bacino con l’esplosione della prima vertebra lombare, provocando il danno midollare e conseguenza paralisi agli arti inferiori”.

E poi Sergio è tornato a “vivere” nonostante la limitazione fisica e continuando ad inseguire i suoi innumerevoli sogni. Lui continua a raccontarci…

“Devo tornare indietro con la mente a vent’anni fa per ricordare che in ospedale a Cuneo ho sempre pensato di aver fatto un brutto sogno e che il giorno dopo mi sarei svegliato con tutto il mio corpo in funzione; ma a Marsiglia il Professore che ha effettuato il mio secondo intervento è stato molto chiaro, paralisi permanente, in quel momento mi sono sentito crollare il mondo addosso. Ho avuto sedici giorni difficili e molto dolorosi nel post intervento. Ma all’arrivo nella clinica riabilitativa non lontana dall’ospedale qualcosa è cambiato. In quell’ambito ho capito di essere stato in qualche modo fortunato poiché ho conosciuto tanti ragazzi con lesioni molto più gravi della mia, con notevoli limitazioni e li ho ringraziato davvero il buon Dio per avermi lasciato ancora l’uso del mio tronco delle braccia e delle mani.

Quello è stato l’ input ed ho iniziato a reagire positivamente, anche perché le strade erano solo due, o togliermi la vita o viverla; ed ho scelto di viverla perché consapevole che la vita è un dono troppo prezioso per essere sprecato.” Sergio Anfossi ha incontrato nel suo nuovo “cammino” tanti ostacoli e tante barriere, quelle strutturali e quelle mentali, ma uno dopo l’atro le ha superate.

Nel 2011 un grosso passo avanti per riprendere gran parte della sua autonomia, Sergio l’ha fatto grazie a Genny (la carrozzina innovativa ispirata a Segway) “Con GENNY sono tornato a passeggiare sul bagnasciuga,- ci dice entusiasta - sulla spiaggia, sotto la pioggia tenendo stretto in mano un ombrello, oppure tenendo per mano una persona cara e ancora, tenendo in mano un buon gelato, fare la spesa spingendomi il carrello e molte altre cose ancora”,

Che rapporto hai con lo sport? Il tuo legame con la P.a.s.s.o., la Polisportiva senza ostacoli che hai fondato?

“Ho sempre amato lo sport, e prima dell’incidente praticavo sci, tennis, motocross e successivamente enduro. Dopo l’incidente mi sono avvicinato a una palestra in Fossano, che in quegli anni era l’unica accessibile per una sedia a rotelle, ho iniziato a irrobustire muscoli del tronco e braccia per acquisire più autonomia.

Nel 1995 ho saputo che altri ragazzi paraplegici s’incontravano a Dronero (CN) per giocare a basket. Sono andato a vedere per conoscerli e giocare con loro e nel ’96 dopo aver conosciuto l’Avvocato Mario Rosso, abbiamo deciso di formare e costituire un’Associazione per lo sport così nello stesso anno è nata la P.a.s.s.o. Cuneo (Promozione attività sportiva senza ostacoli).

La P.a.s.s.o. è la mia creatura, mi ha sempre dato molto, dalla possibilità di praticare il tennis in sedia a rotelle fino ad approdare nell’handbike. Non ero ancora il Presidente della Polisportiva quando nel 2005 proprio per il mio forte desiderio di far conoscere e praticare lo sport senza ostacoli a quanti più ragazzi potevo, ho deciso di svolgere a Cussanio (CN) la prima gara di handbike.

E’ stata un’emozione indescrivibile, sono riuscito a raggruppare 27 atleti che hanno commosso tutti gli spettatori; la ricordo come la gara più bella, conclusa con una volata incredibile proprio sotto gli occhi del mio pubblico, parenti amici e conoscenti mettendo dietro di me ciclisti ora di fama mondiale come Podestà, Cecchetto e il mio compagno di squadra Gianfranco Pigozzo conquistando il secondo posto assoluto dietro allo svizzero Libanore.

E’ stata una giornata memorabile, ho pianto cosi tanto nella notte, ma erano lacrime di gioia. I ricordi e l’emozioni di quel 28 agosto sono ancora scolpite nella mia mente e nel mio cuore. Adesso vado a cercare in ospedale i ragazzi paraplegici, soprattutto quando ne capita qualcuno della mia zona, dico loro che quando escono devo per forza provare l’handbike oppure una carrozzina per il tennis, devono rimettersi in pista e correre di nuovo… sul circuito della vita!”

 Il presidente della Polisportiva cuneese è anche innamorato dell’Africa, di una parte del continente sahariano che lui chiama “La mia Africa”.

Ci racconti la tua Africa? Quando ci sei stato la prima volta e come è riuscita a catturarti?

 “La passione per i viaggi nasce insieme a quella per i motori, già da piccolino ero affascinato dalle auto e dalle moto; ed ero affascinato dalla mitica Parigi Dakar. La seduzione di attraversare quelle immense distese di sabbia, solcare le dune, galleggiarci sopra e poterlo fare con la mia moto era un grande sogno che ho coltivato per tantissimi anni.

La vita però è bizzarra e imprevedibile, Il giorno dell’incidente nel silos ero passato da un rivenditore di moto e avevo comprato l’Africa Twin 750 con preparazione Parigi Dakar e pochi mesi dopo sarei dovuto partire per un viaggio con amici per andare a esplorare le dune nel deserto del Marocco. Avevo inseguito quel sogno per anni e in quei giorni stava assumendo le sue forme.

Quel giorno prima della frattura spinale avevo vissuto una gioia e l’emozione indescrivibili come quelle di un bambino quando riceve il regalo da lui più desiderato. Ma è stato un piacere effimero, durato lo spazio di un pomeriggio, ero ignaro di ciò che sarebbe successo poche ore dopo e navigavo con la mia mente attraverso quei magici paesaggi in terra Africana. Quel sogno infranto è stato la delusione il dolore più grande che ho vissuto, insieme alla perdita dell’uso delle gambe”

Il motto che contraddistingue l’atleta fossanese – non smettere di sognare – a questo punto calza proprio a pennello, infatti, Sergio, dopo l’incidente ha continuato a sognare e nel 1998 gli si è presentata l’occasione di fare un viaggio in Marocco con il cugino Luca. Un viaggio durato 31 giorni dove Anfossi ha percorso 8500 km raggiungendo Casablanca, Marrakech e poi giù al sud verso le porte del deserto: Zagora. Sergio adesso ha gli occhi lucidi mentre racconta:

“A Zagora ho potuto respirare quell’atmosfera magica e unica che solo una distesa di sabbia ci sa regale; ero li come nel nulla avvolto da un silenzio surreale, con magici colori e le sfumature dell’alba e del tramonto, ed ho vissuto momenti intensi ed emozionanti.

Avevamo realizzato, con mio cugino, un bivacco tra le dune, poi sono sceso dall’auto e portavo con me una borsa con dentro l’abbigliamento da endurista; l’ho indossato sulla carrozzina e mi sono buttato a terra dalla mia sedia a rotelle. Con la sola forza delle braccia ho iniziato a scalare una duna e dopo circa 45 minuti ne ho raggiungo la vetta; è indescrivibile il sentimento vissuto in quel momento nel quale ho alzato le braccia al cielo e sono scoppiato in lacrime. Non comprendevo il sapore di quelle lacrime, erano forse di delusione, di tristezza e amarezza per non aver potuto sfidare quella sabbia con la mia moto, ma erano, soprattutto, lacrime di gioia e di felicità per aver avuto ancora la possibilità di giungere su quella vetta anche senza l’uso delle gambe”.

Mai smettere di sognare, mai smettere di coltivare un sogno, solo cosi un giorno quel sogno potrà trasformarsi in realtà. Ed è vero!

“Quel viaggio – continua Sergio - mi ha rapito il cuore; successivamente sono tornato in Africa nel 1999 a Marzo e Ottobre. E poi ancora nell’estate 2003 con due fuoristrada e sei amici, raggiungendo le spiagge bianche di Tan Tan, le montagne di Tafraut, dal deserto di Zagora a quello di Merzouga al confine con l’Algeria. Impossibile non innamorarsi di quel paese pieno di colori, paesaggi. Mi catturava il calore della gente entrando in quei villaggi sperduti, con i bambini che assaltavano le nostre auto per una penna, una maglietta, un biscotto e poi i loro sguardi, i loro sorrisi… sono tutti ricordi stupendi e indelebili.

Dall’inverno 2003-04 ho iniziato a trasferirmi in Marocco ed esattamente nella città di Agadir, per trascorrervi il periodo invernale, al caldo, dove potevo e posso effettuare la preparazione agonistica con l’handbike su strada e vivere così all’aperto”.

E le donne? Quest’universo fantasmagorico…hai la fama di latin lover lo sai? Qualcuna è mai riuscita a prenderti il cuore e finalmente a essere non più “Amica”?

Bella questa domanda, complessa la risposta come complesso è l’universo femminile. Il rapporto che ho avuto con la donna prima del mio incidente penso sia stato quello che può essere la normalità di un rapporto a due. Alcuni anni dopo l’incidente ho sentito il desiderio di conoscere più a fondo questo magico universo e così è iniziata la mia ricerca, cambiando alcuni parametri sulla mia vita sono cambiati anche molti obiettivi, desideri, piaceri, vivere bene e sereni è possibile se si percorre la giusta strada.

Avere la fama di latin lover ora che vivo sulla sedia a rotelle è una cosa che mi lusinga e mi fa piacere. Ciò significa che un uomo, anche con una limitazione fisica, può continuare ad avere una vita relazionale piena, se sa come rapportarsi.

Una donna, la più importante, - ma Sergio non ci dice chi - è entrata nella mia vita nel mio periodo più buio, ha saputo rubarmi il cuore e l’anima, mi ha dato un aiuto enorme per raggiungere la consapevolezza di poter essere in grado ancora di dare molto in un rapporto a due, mi ha fatto comprendere e credere ancora nelle mie forze, nella mia volontà, nella mia voglia di vivere nella mia voglia di sognare.

Purtroppo anche le cose più belle però possono finire, ma questo per me non è importante, importante sono le tante emozioni e le vibrazioni che si vivono solo amando e queste vanno scolpite dentro il nostro cuore, sono questi ricordi a farmi sorridere e raccogliere speranza in momenti più difficili che si incontrano nel corso della vita.

Di certo il modo di vivere la mia vita e trascorrere cosi tanto tempo in terra marocchina non rende le cose facili quando si vive rapporto, ma io sono “egoista” e di conseguenza miro principalmente ad avere il meglio per la mia vita, la salute, il morale e tutto questo so che lo posso trovare solo ad Agadir. Per amore di questa terra calda e aspra ho rinunciato a vivere con un'altra persona un momento bello, nel quale mi sentivo gratificato solamente vedendola sorridere, felice, serena.

 Il tuo impegno nell’organizzare gare di Handbike internazionali e portarle nella tua Fossano, ce ne parli.

“Sogni, sempre sogni. Sono il pane della mia vita. Era un sogno avere una gara importante nella mia città. Ci sono riuscito nel 2005 con la prima gara che organizzai in frazione Cussanio, modesta e semplice. Poi ho curato maggiormente l’organizzazione e nel 2009 ho portato la partenza della gara proprio nel centro storico di Fossano in occasione del Campionato Italiano Assoluto. E’ stata dura, tante persone non erano d’accordo sulla mia scelta, ma io ci credevo tanto e l’ho spuntata, così è stato un vero successo. Poi negli ultimi anni ho sempre portato a Fossano una Tappa del Giro d’Italia Handbike.

Nel 2012 un'altra scommessa: aggiudicarmi per la mia città una tappa dell’ EHC circuito Europeo: Quest’ultimo impegno organizzativo è stato molto faticoso perché ero rientrato dal Marocco in Aprile ho perso del tempo prezioso per correre dietro alla mia salute, il dolore alla spalla, una piaga e l’intervento di colecistectomia.

 La gara si correva in Luglio ed io ero sfinito e poco entusiasta, ma quell’appuntamento era troppo importante perché fallissi. Ho riesaminato il percorso portando il circuito tutto in città, ho fatto addobbare a festa dal Comune il centro storico per accogliere i campioni provenienti da tutta l’Europa, per le due giornate di gara. E alla fine è stato un successo ricevendo i complimenti poi da persone come Roberto Rancilio Presidente dell’EHC, dell’atleta organizzatore della tappa Francese e da atleti partecipanti che mi hanno gratificato e ripagato a pieno per le energie profuse. Una vittoria personale è stata la soddisfazione di aver portato ne mondo dell’handbike il nome della P.A.S.S.O. in Europa.

Alla conclusione della manifestazione del 2012 il mio carico di stress e il dispendio di energie mi avevano prosciugato, sono rientrato a casa pieno di brividi e con quasi 40 C di febbre per alcuni giorni, ma ne era valsa la pena!”

 “Quest’anno ripeterò lo stesso appuntamento ma mi sento più tranquillo, i percorsi ormai sono collaudati e anche la sicurezza sulle strade non mi preoccuperà più così”.

Sogni e speranze per il futuro?

“La speranza più grande è quella che il mio dolore alla spalla, che ormai mi accompagna da un anno, mi dia un po’ di tregua ed io passa godermi totalmente la mia nuova CARBIDE (Hnadbike) dalle prestazioni eccellenti, peccato non averla avuta negli anni passati quando ero più in forma e più giovane. I sogni? Ne ho sempre tantissimi che popolano la mente. Vorrei portare una gara di handbike qui in Africa, magari proprio una tappa dell’EHC nella città che mi ha adottato: Agadir; sarebbe una bella opportunità d’integrazione, socializzazione e di riscatto per tanti disabili dei paesi in via di sviluppo e con questo mi congedo, temo di aver sproloquiato.

E ti ringrazio per l’intervista. Saluto quanti la leggeranno e come dicono qui “INCHALLA”.

 Grazie a Sergio Anfossi

 Dorotea Maria Guida 

La Maratona di Claudio

Claudio Mirabile con Zanardi

“Della corsa, la maratona costituisce la parte più nobile e sofferta. Si dice che la maratona offra alle masse una possibilità d’identificazione con l'angoscia e la bellezza dello sport poiché i concorrenti riuniscono mente e corpo in una prova definitiva delle loro risorse.

Chi gareggia lo fa soprattutto con la forza delle gambe, io lo faccio con la forza delle braccia”. E’ ciò che ci ha risposto Claudio Mirabile, ciclista dell’Handbike, paraplegico da alcuni anni a causa di un incidente in moto, quando gli abbiamo chiesto del perché si corra una Maratona.

Nel mondo si corrono tante Maratone. Ovvero si corrono tante gare di corsa sulla distanza di 42,195 km, nel ricordo della corsa più epica in assoluto. Quella nella quale un emerodromo (corridore eccezionale che recapitava notizie) il mitico ateniese Fidìppide, dopo la battaglia tra spartani e ateniesi, corse fino ad Atene, per 42 chilometri morendo probabilmente per la fatica, dopo aver annunciato la vittoria di Atene.

La maratona di New York è una tra le più famose al mondo. Nel nostro Paese, invece, spicca per bellezza la Maratona d'Italia (nota anche come maratona di Carpi.) Mirabile, ha gareggiato alla Maratona d’Italia arrivando 4°, un quarto posto che possiamo considerare una vittoria. La sua personale conquista. Claudio si allena tutto l’inverno, al coperto quando piove o fa freddo, disponendo la sua handbike su speciali rulli.

Appena il tempo glielo consente macina chilometri su chilometri con sacrificio e determinazione dalle parti si Sommariva del Bosco (Cuneo). Quest’anno ha partecipato a varie gare del giro d’Italia handbike migliorandosi a ogni competizione e negli anni passati ad altre maratone. Subito dopo la Maratona di Carpi abbiamo chiesto a Claudio di raccontarci della corsa: “la gara è andata bene, ho concluso in 1 ora e 16 minuti.

Ho dovuto affrontare un percorso molto più impegnativo e difficile degli altri anni per via di gincane e vari rallentamenti date da curve strette. Questa è stata la mia ultima gara per il 2012, un anno iniziato non bene, ma concluso con notevoli miglioramenti rispetto agli anni passati. Penso già a quest’inverno, perché i buoi risultati delle gare durante l’anno si preparano essenzialmente nella stagione fredda.

Chiediamo infine a Claudio Mirabile: Perché ti piacciono tanto le maratone? Insomma rientrano in quella parte di atletica leggera chiamata podismo, e tu sei un ciclista! “Perché ogni gara è in ultima analisi una sfida, contro gli avversari, contro se stessi, contro le avversità della vita”

Grazie Claudio

Dorotea Maria Guida

Sognando le Paralimpiadi dall'ultima fila

Christian Coccato e Bobo

I sogni lo sappiamo, non costano nulla. Eppure ce ne mette impegno e fatica Christian Coccato, classe 1981, paraplegico da due anni a seguito di un incidente in moto, quando gareggia con la sua handbike.

Il ciclista di Gàssino Torinese (TO) ha iniziato quest’anno a praticare l’attività sportiva con la bicicletta che come tutti sappiamo si pedala con la forza delle braccia e che ha permesso ai nostri Azzurri alle Paralimpiadi di portare a casa un bottino di medaglie. Christian Coccato, tesserato con la Polisportiva P.a.s.s.o Cuneo, ha partecipato a tante tappe del Giro d’Italia Handbike, ad una tappa degli Europei del circuito EHC svoltasi a Fossano e per tante altre gare in giro per l’Italia.

Quello che più sorprende di Coccato e la sua costanza, la sua fiducia e l’ottimismo malgrado si trovi sempre a tagliare il traguardo nelle retrovie. Di solito Coccato, alle gare, cerca sempre di aggregarsi con qualcuno dei compagni di squadra, ma nelle gare di Lugano e Varese è andato da solo accompagnato soltanto dalla fedelissima Ylenia e da Bobo, il cane che lo segue in tutte le gare. A Lugano si è corsa la “Stralugano”, Manifestazione podistica organizzata dalla Polha-Varese (Associazione Polisportiva per Disabili.) “Nella Round Table Cup di Lugano sono arrivato undicesimo.

La gara si è svolta alle ore 18, quindi già con il crepuscolo e pioveva. Era la prima volta che gareggiavo sotto la pioggia e non è stato per niente facile” Ci racconta - Coccato - rivivendo quei momenti. Il Giro del Lago di Varese, organizzata dall’A.S.D. GAM Whirlpool, è stata la gara che più ha soddisfatto ed emozionato Christian. “A Varese si è corso al mattino e c’era il sole. Ho gareggiato su di un percorso lungo 25 km intorno al lago. Le nostre handbike hanno fatto da apripista ai podisti che hanno corso subito dopo.

Il mio personale risultato? Ho tagliato il traguardo al 10° posto e sono stato l’ultimo dei premiati. E’ stato emozionante, finalmente, non arrivare in ultima posizione ed essere stato premiato!”.

C’è una certa soddisfazione in Coccato quando parla del suo 10° posto, è vero si gareggia per il senso della competizione, per il confronto con se stessi e con gli altri, ma i miglioramenti fomentano i sogni e i sogni aiutano a vivere…

Dorotea Maria Guida

Francesco Fieramosca: pannolini, biberon e... due carrozzine

Francesco con Edoardo

Francesco s’incontra che va spedito per le vie di Albenga (Savona) con in braccio il suo piccolo. Si deve fermare per darli il biberon o cambiargli il pannolino e le mani sono due, ci dice: “O mi occupo di Edoardo o spingo la carrozzina, ma non quella del bambino, la mia!”

Francesco Fieramosca è disabile a causa di un indicente che l’ha reso paraplegico. Spesso lo troviamo anche in trasferta nelle varie città d’Italia, dove sta disputando, insieme ai suoi compagni di squadra (P.a.s.s.o Cuneo) il Giro d’Italia Handbike e quando possono lo seguono anche Federica sua moglie e il piccolo, tutti fortissimi sostenitori del papà ciclista. Lo abbiamo incontrato in occasione di una cena della Polisportiva cuneese e non ci siamo fatti sfuggire l’occasione di fargli qualche domanda.

Francesco con quest’accento… proprio ligure non sembri, ci racconti qualcosa di te?

Infatti, Sono nato a Sciacca in provincia di Agrigento nel 1984, ho avuto l’incidente nel 2005, poi nel 2007 mi sono trasferito in Liguria. Prima dell’incidente lavoravo con i mezzi meccanici tipo escavatori, draghe e camion, poi dopo la lesione non ho più potuto continuare a fare quel tipo di lavoro e allora ho deciso di riprendere gli studi. Mi sono diplomato e grazie al titolo di studio ho potuto concorrere per lavorare in Comune, dove sono tuttora impiegato.

Spesso nelle gare ti vediamo insieme a tua moglie, dove vi siete conosciuti?

Federica l'ho conosciuta nel 2006 durante il ricovero presso l'unità spinale di Pietra Ligure, lei era la mia fisioterapista. Qui qualcuno può fare anche un sorriso sulla solita storia che l’infermiera o la fisioterapista s’innamora del suo paziente. Ma non è andata così. Diciamo che tutto è avvenuto nel modo più naturale che possa esserci, lei non mi ha fatto mai pesare la mia disabilità, semplicemente perché non la vede!

Com’è la tua vita da neo papà con limitazione fisica, ci vuole una carica in più per star dietro ad un bambino piccolo?

Ovviamente per stare dietro ad Edoardo di energie ce ne vogliono tantissime, ma riesco a cavarmela molto bene non ho mai avuto grosse difficoltà. Quando Federica è a lavoro e sono con il piccolo è come fare una gara ad ostacoli, il percorso si snoda tra pannolini, pappe, biberon e non riesco mai a tenerlo fermo: è vivacissimo! Forse il fatto di avere ventotto anni mi aiuta.

Che cosa vorresti per il suo futuro, che mondo vorresti per tuo figlio?

Vorrei che crescesse sereno e che un giorno fosse fiero del suo papà e della sua mamma. Stiamo facendo tanti sacrifici per farlo crescere bene e non fargli mancare nulla.

E quando diventerà grandicello e vedrà la differenza tra te e i papà degli altri compagni, come glielo spiegherai che non c’è nessuna differenza?

Edoardo ha sempre visto me così sulla carrozzina quindi troverà abbastanza normale questo stato di cose, penso che si stupirà del contrario e, ridiamoci su, vuoi? Magari mi dirà: “Papà perché gli altri stanno in piedi?”

Grazie Francesco!

Dorotea Maria Guida

Lo sport? Una parte fondamentale della vita

Da Torino e da Cuneo due atleti dell’handbike raccontano le loro esperienze.

 Loro sono i due gritosi: Christian Coccato e Claudio Mirabile; due atleti della Polisportiva P.a.s.s.o Cuneo accomunati dallo stesso destino della paraplegia dopo un incidente in moto.

 Domenica 22 Aprile ritornavano da una personale Maratona, gara podistica per normodotati, ma alla quale possono partecipare anche i ciclisti della specialità Paralimpica dell’Handbike. Per chi non lo sapesse, il termine handbike deriva dall' inglese (tradotto letteralmente): "bici a mano".
E' un tipo di bicicletta speciale nella quale la spinta proviene dalle braccia e non dalle gambe. Con essa si svolgono gare a livello nazionale e internazionale, suddivise in categorie secondo la gravità dell’handicap fisico di ogni atleta.

Coccato, classe 1981 di Gassino Torinese, Domenica tornava dalla Mezza Maratona di Genova nella quale gli organizzatori gli avevano chiesto di partecipare per una esibizione in handbike, così mi ha detto: “è stata una bella "pedalata" di allenamento in un bel circuito cittadino molto caratteristico. L’esibizione è stata riuscitissima su di un bel circuito cittadino di 21 km. Un modo per far conoscere sempre di più l’Handbike.

Mirabile, classe 1975, che vive a Sommariva Bosco in provincia di Cuneo tornava, invece, dalla Maratona di Padova, istituita nel 2000 nell’anno del Giubileo e ambitissima per numero e preparazione degli atleti. Infatti, Mirabile era andato proprio per gareggiare con i Big dell’Handbike tra i quali Alex Zanardi che ha vinto nella specialità dei MH4.
Mirabile avrebbe voluto star dietro ai favoriti Zanardi e Cecchetto ma al 15° km è uscito di strada, rimesso poi in pista, ha continuato a gareggiare tenacemente arrivando 17°, su 42 corridori.

Come ti sei appassionato all’handbike?

Coccato: “Ho avuto l’incidente nel 2010, sulle curve di Cortemiglia. In ospedale al Santa Corona di Pietra Ligure ho conosciuto due ragazzi che gareggiano per la P.a.s.s.o Cuneo (Diego Ferrero e Francesco Fieramosca), mi hanno fatto provare una handbike in occasione di una esibizione in città. In seguito mi hanno messo in contatto con il presidente della Polisportiva Sergio Anfossi”.
Mirabile: “dopo l’incidente nel 2005 ho riflettuto un anno su cosa avrei fatto della mia vita. In seguito degli amici mi hanno presentato Anfossi della P.a.s.s.o che mi ha proposto l’handbike e nel 2007 ho cominciato a gareggiare senza tante pretese giusto per socializzare e tenermi in movimento. Poi dal 2011 ho iniziato ad allenarmi intensamente con l’aiuto di un preparatore, per sfruttare al massimo tutte le mie potenzialità”.

Che cosa provi quando gareggi e affronti le sfide?

Mirabile: “quando scendo in pista con l’handbike mi sento pervadere da una scarica d'adrenalina che ripaga tutte le fatiche degli allenamenti fatti. Gareggiare mi permette di confrontarmi con gli avversari, riesco a migliorare i miei limiti e il migliorare mi appaga. La gara è una sfida, principalmente con noi stessi e prepara alle sfide più severe della vita.
Coccato: “partecipare per me è stimolante perchè ho sempre fatto sport di competizione sopratutto calcio e snowboard e quando c'è da competere con altri da sempre molta carica. Ho sempre amato più gli sport di squadra e non ho mai amato la bicicletta "normale" ma l’handbike è diversa perchè lavorare di braccia mi stimola di più, l’handbike mi ha subito catturato e fatto rinascere.

L’importanza dello sport?
Coccato: “lo sport è importante per chi ne è appassionato, non giudico chi non ne fa perchè si può vivere benissimo senza, ma se è una passione allora diventa una parte fondamentale nella vita di chi lo pratica. La mia carriera in HB è appena iniziata, penso proprio che continuerò allenarmi seriamente perché devo raggiungere il livello degli altri che hanno una preparazione tecnica molto elevata”.

Mirabile: “l’aiuto che da lo sport nel riportare alla vita chi ha avuto dei traumi importanti è fondamentale. Ci fa comprendere che possiamo ritornare a far tutto e anche di più perchè spesso i limiti sono solo nella nostra testa”.

 La prossima gara? “A Montalto di Castro (Viterbo) il 25 Aprile, per la seconda tappa del Giro d’Italia Handbike”. E stavolta rispondono in coro!

Dorotea Maria Guida